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domenica 17 novembre 2013

La testa ben fatta
Riforma dell'insegnamento e riforma di pensiero

copertina
Uno dei libri che ho molto apprezzato di Edgar Morin, è "La Tête bien faite" (1999) che fa parte di una trilogia pedagogica costituita da: "Relier les connaissances"(primo volume, 1999); "La Tête bien faite" (secondo volume, 1999) ed infine" Les Sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur" (2000). 

Di questa trilogia non ho ancora letto il primo volume, ma ritengo comunque interessante condividere con voi le informazioni, utili e stimolanti, presenti negli ultimi due libri, che invece ho letto, e che spero abbiate anche voi occasione di sfogliare e siate incuriositi a farlo, dopo aver letto questo post.

Parlare di una testa ben fatta è ben diverso dal parlare di una testa(ben)piena: infatti lo scopo dell'autore, secondo il mio parere, è quello di sottolineare come, in genere, si miri a far acquisire il maggior numero di contenuti possibili(ex: a scuola) piuttosto che insegnarci a  gestirli, connetterli, rielaborarli, organizzarli, sviluppare un metodo di studio efficiente ed efficace... Una testa piena di contenuti, infatti, è anche una testa piena di confusione (molto spesso): é dunque fondamentale imparare  a trattatare/organizzare la molteplicità di contenuti che ci bombardano all'interno di una rete di pensiero che li interconnetta, invece di rinchiuderli in "cassettini/scompartimenti" indipendenti tra loro. Per farlo il nostro pensiero deve superare la semplicità, la rigidità e il meccanicismo riduttivo  ed imparare ad essere aperto, flessibile, dinamico e complesso (da complexus=tessuto insieme). Dunque, è necessario cercare di considerare la molteplicità di piani di cui è composta la realtà, e imprare a tenere insieme anche ciò che apparentemente insieme non sta (pensiero dialogico).

Ma ora passiamo direttamente ai contenuti del libro ((fonte http://www.pavonerisorse.it/intercultura/2000/testa_benfatta.htm)




Il testo è appare una meditazione che si avvolge attorno a tre frasi, una di Eliot, una di Pascal ed una di Montaigne.

-Eliot:: "Dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione? Dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?"
-Pascal: "Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate ed adiuvanti, mediate ed immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lantane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere il tutto?"
-Montaigne: "E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena".

E’ la sfida della ipercomplessità, la sfida di una terra divenuta per ogni uomo comunità di destino anche se ognuno di noi fa una enorme fatica a percepire che "tutto si connette", che tutto è tessuto insieme.


cap 1: Le sfide
Secondo Morin l’insegnamento/educazione è oggi di fronte a tre sfide:
  1. La sfida culturale dove si confronta sapere umanistico (che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani e favorisce l’integrazione delle conoscenze) e la cultura tecnico-scientifico (che separa i campi, suscita straordinarie scoperte ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa)
  2. La sfida sociologica: l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve integrare e padroneggiare; la conoscenza deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero; il pensiero è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società
  3. La sfida civica Il sapere è diventato sempre più esoterico (accessibile ai soli specialisti) e anonimo (quantitativo e formalizzato). Si giunge così all’indebolimento del senso di responsabilità (poiché ciascuno tende ad essere responsabile solo del proprio compito specializzato) ed all’indebolimento della solidarietà (poiché ciascuno percepisce solo il legame organico con la propria città e i propri concittadini). Siamo cioè di fronte ad un deficit democratico.
Raccogliere queste sfide significa procedere ad una "riforma dell’insegnamento che deve condurre alla riforma di pensiero e la riforma di pensiero deve condurre a quella dell’insegnamento" (pag. 13). Una proposta non programmatica ma paradigmatica.


cap 2: La testa ben fatta
Ma come è una testa ben fatta? Morin sostiene che una tale testa è caratterizzata non dall’accumulo del sapere quanto piuttosto dal poter disporre allo stesso tempo di:
a) una attitudine generale a porre e a trattare i problemi
b) principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso.

La testa ben fatta va dunque al di là del sapere parcellizzato (e quindi al di là delle "discipline") riconnettendo sapere umanistico e sapere scientifico, mettendo fine alla separazione fra le due culture consentendo così di rispondere alle sfide poste dalla globalità e dalla complessità delle vista quotidiana, sociale, politica, nazionale e mondiale.Si tratta cioè di "far convergere (sull’uomo) le scienze naturali, le scienze umane, la cultura umanistica e la filosofia nello studio della condizione umana. Allora si potrebbe giungere a una presa di coscienza della comunità di destino propria della nostra condizione planetaria, in cui tutti gli umani sono messi a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali" (pag. 44).Si tratta di apprendere a vivere, di apprendere a trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza. E apprendere a vivere significa affrontare l’incertezza (attrezzarsi - direbbe Salvatore Natoli - per dominare il caso, per portarsi all’altezza dell’improbabile rinunciando ad ogni pretesa di totalità disponendoci al viaggio, al transitare).E apprendere a vivere è, da ultimo, apprendere a diventare cittadini, e cittadini "glo-cali": cittadini del proprio villaggio ma anche contemporaneamente del mondo fattosi villaggio.Le proposte di Morin sono molteplici, espresse sempre con lucidità e poesia. Ad esempio:  per imparare a vivere nell’incertezza?

  1. Praticare un pensiero che si sforzi di contestualizzare e globalizzare le informazioni e le conoscenze
  2. Utilizzare non il programma e la programmazione ma la strategia. La programmazione determina infatti a priori una sequenza di azioni in vista di un obiettivo mentre la strategia prefigura scenari di azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto (si veda, al riguardo lo stupendo volume dedicato anni fa da Gabriele Boselli alla Postprogrammazione - La Nuova Italia).
  3. La scommessa: la strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta perciò una scommessa. Essa deve essere pienamente cosciente della scommessa, in modo da non cadere in una falsa certezza.
cap 3: Il pensiero che interconnette
Si tratta dunque di coltivare il pensiero che connette e interconnette secondo sette principi:

  1. Il principio sistemico (il tutto è più della somma delle parti)
  2. Il principio ologrammatico (sembra un paradosso ,a le organizzazioni complesse evidenziano anche che il tutto è iscritto nella parte)
  3. Il principio della retroazione (feedback) che rompe lo logica della causalità lineare
  4. Il principio dell’anello ricorsivo (gli uomini producono la società mediante le loro interazioni, ma la società in quanto globalità emergente produce l’umanità di questi individui portando loro il linguaggio e la cultura)
  5. Il principio dell’autonomia/dipendenza (gli umani sviluppano la propria autonomia dipendendo dalla cultura)
  6. Il principio dialogico (che unisce i principi che a prima vista paiono elidersi a vicenda: vita/morte; ordine/disordine...)
  7. Il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza.
Secondo Morin la riforma del pensiero è anche riforma "etica": del resto il pensiero che connette, proprio perché connette, è anche un pensiero ed una azione solidale: "Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate è capace di prolungarsi in una etica di interconnessione e di solidarietà fra umani" (pag. 101).

Il mestiere (e l’arte) dell’insegnare (cap 9)
Quale insegnante è prefigurato da questo mutamento di paradigma? Morin ne traccia un preciso identikit.I tratti essenziali dell’insegnante sono (pag. 106):
  1. Fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali;
  2. Preparare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana;
  3. Preparare le menti ad affrontare l’incertezza favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore
  4. Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani
  5. Insegnare l’affiliazione (a partire dal proprio villaggio sino al villaggio globale)
  6. Insegnare la cittadinanza terrestre come comunità di destino dove tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortali
Sono questi i punti necessari per uscire dal pensiero chiuso e parcellizzato, ripiegato su se stesso, sul proprio sempre più minuscolo pezzetto di puzzle.
E qui sta anche il ruolo chiave della riforma del pensiero e dell’insegnamento: si tratta di una necessità democratica. Formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo; frenare il deperimento democratico che è suscitato in tutti i campi delle politica dell’espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi che limita  progressivamente la competenza dei cittadini.

Il libro prosegue con molti altri capitoli... Se vi siete incuriositi, correte subito ad acquistarlo (12euro) oppure prenotatelo in biblioteca, e scoprite anche il resto.. non rimarrete delusi!


A breve un post sull'ultimo testo della trilogia...
 

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